Con l’avanzamento dell’economia digitale e la conseguente esigenza di districarsi in un contesto di concorrenza caratterizzato da popolarissimi players, molte aziende si sono trovate nella necessità di investire in nuove strategie di comunicazione e di intraprendere campagne e iniziative pubblicitarie, volte ad aumentare la propria visibilità.
Questa nuova esigenza ha aperto le porte a diverse problematiche, prima di tutto quella concernente l’accessibilità e utilizzabilità da parte delle imprese dei dati dei propri clienti, o potenziali tali, mettendo in luce l’annosa questione concernente il rapporto tra marketing e protezione dati.
Lo sviluppo delle nuove tecnologie, con conseguente aumento delle fonti di dati e l’avanzamento delle tecniche di profilazione, hanno reso il settore del marketing un contesto sempre più a rischio per la protezione dati, tanto da ricadere spesso sotto il vaglio ispettivo del Garante Italiano.
Sono molte, infatti, le aziende che hanno cercato di fare appello al “legittimo interesse” del considerando 47 GDPR per fondare trattamenti finalizzati ad attività promozionali, cercando così di bypassare l’ostacolo di un consenso non sempre facile da ottenere e ancor meno da gestire.
A oggi sembra prevalere, anche sulla base dell’art. 130 del D.lgs.196/2003, come da ultimo riformato con il D.lgs. 101/2018, la centralità del consenso rispetto al legittimo interesse, che viene così relegato a una gamma limitata di trattamenti.
Attenzione, quindi, a individuare la corretta base giuridica, la cui scelta non potrà prescindere da un’adeguata e completa conoscenza del Regolamento e delle sue implicazioni pratiche, lette alla luce delle pronunce delle autorità nazionali ed europee.
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